Purtroppo i molti problemi che come associazione abbiamo dovuto seguire sul territorio ci hanno impedito di curarci di questo sito come avremmo voluto.
Ma ora, dopo vari anni di lavoro per cercare di orientare sempre maggiormente l'utilizzo di energia favorendo le rinnovabili per dismettere quella basata sugli idrocarburi, dobbiamo confessare il senso di impotenza che ci pervade avendo ormai verificato da tempo che vari governi che si sono succeduti, e l'attuale più di tutti, lungi dal percorrere questa strada ormai ineludibile se non si vuole portare il nostro pianeta verso la catastrofe, hanno invece percorso la strada inversa, annullando sempre di più le rinnovabili (taglio agli incentivi, ecc) e favorendo in ogni modo le peggiori pratiche per favorire la ricerca e l'utilizzo degli idrocarburi.
Penso ad es. alle leggi e decreti che hanno favorito la ricerca di idrocarburi su tutto il territorio nazionale togliendo sistematicamente tutti i controlli che in questo settore garantivano un minimo di controllo e di salvaguardia di territori ed abitanti.
Leggete la relazione che sul tema ha scritto una nostra socia molto addentro a questi problemi (ANNA DE ROSSI), e riflettete...
________________________
“La miglior politica ecologica
consiste nell'evitare fin dall'inizio inquinamenti ed altre perturbazioni,
anziché combatterne successivamente gli effetti...in tutti i processi tecnici
di programmazione e di decisione si deve tenere subito conto delle eventuali
ripercussioni sull'ambiente” (Dir. 337/85/CEE)
QUALE FUTURO ENERGETICO PER
L'ITALIA?
Premessa
A partire dal 2013 il governo
italiano, attraverso l'adozione della Strategia Energetica Nazionale (SEN[1]), ha avviato una politica energetica in aperto
contrasto con i trattati sottoscritti[2] e gli
obiettivi UE[3]
stabiliti al fine di limitare il surriscaldamento del pianeta e i mutamenti
climatici.
Un primo tentativo di dare
attuazione a tale indirizzo si realizza l'anno successivo (2014) con l'approvazione
degli artt. 35 - 38 del Decreto c.d. Sblocca Italia, liberalizzando le
attività di sfruttamento delle risorse petrolifere e di gas naturale presenti
sul territorio e in mare e dichiarandole di interesse strategico, con
conseguente semplificazione delle procedure autorizzative e di controllo anche
in sede di VIA, salvo poi introdurre alcuni correttivi attraverso la recente Legge
di stabilità per il 2016, a fronte di quesiti referendari presentati da
dieci Regioni che si sono viste esautorate in una materia, quale l'energia, di
competenza concorrente[4].
Attraverso l'utilizzo della
formula rilevanza strategica nazionale si è sottratta competenza alle
Regioni poiché l'azione dello Stato non si è limitata a definire obiettivi
generali e principi fondamentali in materia ma ha limitato, nel numero o nella
sostanza, i momenti partecipativi decisionali. E ciò, si ritiene, anche in
aperto contrasto con la Convenzione di Aarhus[5]
che - riconoscendo ai cittadini il diritto di partecipazione ai processi
decisionali in materia ambientale e, conseguentemente, in materia di politica
energetica che su quella si riflettono - vede proprio negli enti territoriali i
referenti istituzionali più vicini attraverso i quali, oltre che singolarmente,
esercitare tale diritto.
Nel merito va poi rilevato che i
vantaggi economici di tale indirizzo di politica energetica sono minimi, a
fronte di risorse limitate la cui consistenza è peraltro incerta tanto in
ordine all'an che al quantum: la loro verifica, infatti, è
rimessa in gran parte ad attività di prospezione e ricerca.
Oltre a ciò, queste attività
possono risultare invasive e fonti di grave danno ambientale fin dalla fase di
prospezione e ricerca.
La previsione del rilascio di un
titolo concessorio unico (ricerca-coltivazione) per un periodo che può arrivare
a coincidere con quello dell'intero periodo di utile sfruttamento del sito,
desta grave preoccupazione per il pericolo che soggetti che non abbiano la
necessaria capacità tecnica ed economica richiesta dalla legge possano operare
nel settore, come già accaduto in passato[6]. Tal timore
è ragionevolmente giustificato da previsioni normative, in ordine alle garanzie
assicurative richieste, da considerarsi del tutto inadeguate a fronte di un
quadro rischi che è stato sottostimato dal legislatore e comunque insufficiente
rispetto alle più recenti acquisizioni scientifiche in tema di:
- sismicità indotta e attivata;
- inquinamento delle acque;
- contaminazione dei terreni;
- inquinamento dell'aria.
Parallelamente a questo progetto,
e in rapporto diretto con la sua attuazione, lo Stato italiano intende
realizzare un Hub europeo del gas nella Pianura Padana, prevedendo:
- la massiccia conversione di
giacimenti di gas naturale, esauriti o in via di esaurimento, in siti di
stoccaggio;
- l'aumento della pressione[7] di quelli
già in esercizio.
Da rilevare poi che la maggior
parte delle attività e dei progetti di coltivazione o stoccaggio degli
idrocarburi sono considerate a rischio incidente rilevante e devono
essere sottoposte alla disciplina della c.c. Direttiva Seveso: lo Stato
italiano non sempre ha ottemperato in modo tempestivo e adeguato, spesso
omettendo o ritardando l'applicazione della Direttiva[8].
Si osserva infine che il recente
correttivo all'art.38 del decreto Sblocca Italia ha eliminato la
previsione relativa all'unico strumento di pianificazione previsto in materia,
il c.d. Piano delle aree,
tornando a rendere quindi idoneo allo sfruttamento l'intero territorio
nazionale, fatta eccezione per le poche aree espressamente escluse[9] e quello
costiero entro le 12 miglia marine.
A fronte di questa situazione
emerge, in tutta la sua gravità ed urgenza, il problema della tutela del
territorio dell'intera Nazione dal pericolo che la realizzazione di dette
attività comporterà e che impone una revisione della politica energetica e
dei suoi obiettivi strategici, l'adozione di un piano per l'individuazione
delle aree e dei siti idonei escludendo tutti quelli ad impatto ambientale e
che comunque comportino pericoli inaccettabili per l'ambiente, il paesaggio, il
patrimonio storico artistico ma, ancor prima, la salute degli individui e la
pubblica incolumità.
1- Revisione della
strategia energetica nazionale e pianificazione
Come sopra visto, il rilascio di
concessioni di ricerca e di coltivazione è attualmente possibile per aree che
sono liberamente disponibili e che comprendono l'intero territorio nazionale se
non espressamente escluse[10].
La mancanza infatti di un
adeguato strumento di pianificazione[11] lascia
aperta la possibilità di realizzazione selvaggia di impianti di
sfruttamento anche in zone di particolare interesse vuoi paesaggistico,
culturale o ambientale in senso ampio - comprese aree protette e parchi - vuoi
di rilevante interesse economico per le attività turistiche o agricole di
qualità.
La realizzazione del piano si
rende quindi necessaria.
Lo studio per la sua
realizzazione dovrà necessariamente valutare:
a) da un lato, le necessità
legate al perseguimento degli obiettivi in materia di politica
energetica che però, come visto, con l'attuale SEN si pongono in aperto
contrasto con:
- i vincoli e gli obiettivi
derivanti dalle convenzioni e trattati cui l'Italia ha aderito;
- la politica comunitaria di
riduzione delle emissioni e dell'uso di combustibili fossili,
e che quindi dovranno essere
necessariamente riveduti;
b) dall'altro, la natura delle
aree che possono essere destinate a questo tipo di attività di sfruttamento
con un procedimento di individuazione che tenga conto della peculiare natura
delle stesse con riferimento:
- all'aspetto della idoneità
geologica, compresa la valutazione sotto il profilo della sismica e della
tutela delle risorse idriche;
- alla tutela del paesaggio[12] e di
ogni più ampio ambito culturale, antropico ed economico.
La realizzazione di quanto sopra
sarà possibile se e solo se, lo si ribadisce, quale necessaria premessa si
assisterà ad un mutamento di indirizzo rispetto alla SEN approvata nel 2013 e
che solo parzialmente può essere rinvenuta nel c.d. Collegato ambientale
alla legge di stabilità per il 2016.
1.1 - L'art.9 e l'art.32 della
Costituzione
Il richiamato mutamento di
indirizzo da parte del legislatore è esigibile anche in ragione del valore
prevalente che gli artt. 9 e l'art. 32 della Costituzione hanno rispetto
all'art. 41 della stessa[13].
L'art.9 tutela il paesaggio e
il patrimonio storico e artistico della Nazione, mentre l'art. 32 tutela la
salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività.
Le attività di sfruttamento
minerario rientrano fra quelle economiche, tutelate dall'art.41 della
stessa Carta.
Orbene, al di là della necessità
di operare un bilanciamento di interessi che possono talora apparire
contrastanti, non v'è dubbio però che i valori riferibili a quest'ultima norma
siano di rango inferiore rispetto alla salute degli individui e al bene
comune del paesaggio e del patrimonio culturale. Ecco quindi che ogni scelta di indirizzo del
legislatore dovrà essere orientata al rispetto di questa prevalenza, in un
bilanciamento che, sì, tenda alla realizzazione dell'interesse della Nazione in
materia energetica, ma senza il sacrificio dei beni culturali e, ancor prima,
della salute e dell'integrità degli individui.
Si deve fermamente ribadire, poi,
che la dichiarazione di rilevanza strategica nazionale non può essere un
comodo strumento per imporre interessi[14] che non
rispecchiano l'utilità sociale collettiva come sancita dallo stesso art.41
Cost., quella cioè tesa alla realizzazione del progresso e benessere collettivo[15] nella sua
accezione più ampia: ne è dimostrazione la vicenda relativa alla
liberalizzazione del mercato del gas naturale e della realizzazione dell'Hub
europeo del gas nella Pianura Padana (vv. di seguito, punto 3).
1.2 - Il ruolo delle Regioni e
degli enti locali
In questo contesto, la
partecipazione delle Regioni e degli enti locali al processo di formazione
del Piano è necessaria, così come è altrettanto necessario garantire ai
cittadini momenti e forme di partecipazione[16], vuoi
individualmente considerati, vuoi attraverso associazioni ambientaliste e
comitati.
La recente esperienza
referendaria ha evidenziato che ove manchi questa leale collaborazione[17], nasce una
reazione di conflitto.
Nelle materie di cui all'art.117,
comma terzo e quarto, della Costituzione, una legge statale non può
legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale se non
nella stretta osservanza del principio di sussidiarietà.
Quando ciò sia necessario, il
legislatore deve quindi prefigurare un iter in cui assumano il dovuto
risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, e cioè le
intese, con la Regione interessata, che devono essere condotte in base
al principio di lealtà (vv. sent. Corte Cost. n.7 del 1/12/2015-
21/01/2016; sent. Corte Cost. n.3003/ 2003 e n.6/2004).
In tal modo verrà scongiurato
il rischio di sottrarre alla Regione interessata un adeguato spazio
partecipativo, e si conseguirà una “codeterminazione” dell'atto che terrà conto
dell'intero fascio di interessi regionali sui quali impatterà l'attività
amministrativa.
Ciò vale, evidentemente, per la
normativa relativa alla produzione, al trasporto e alla distribuzione
dell'energia e in particolare all'ambito delle procedure di formazione e approvazione
di un piano che regoli attività riferibili a detta materia.
1.3 la VAS
L'adozione di un piano per
l'individuazione delle aree idonee alla realizzazione di attività di
coltivazione o stoccaggio di idrocarburi deve in ogni caso essere condizionata
al superamento di una valutazione ambientale strategica (vv. più oltre).
2 – La tutela delle aree a
rischio ambientale
La destinazione di un sito ad
attività di sfruttamento per la coltivazione di idrocarburi o per il loro
stoccaggio presuppone che esso sia idoneo a ciò.
Tale idoneità, che si riverbera
nelle scelte di piano, dev'essere valutata sotto vari profili, inerenti la
tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico artistico
nonché della salute e della pubblica incolumità.
Si devono quindi escludere a
priori come luoghi idonei alla realizzazione di opere ad alto pericolo
ambientale, quali sono quelle di coltivazione e stoccaggio degli idrocarburi,
le aree protette o comunque soggette a vincolo ambientale.
Altrettanto dicasi per tutti i
casi nei quali sarebbe messa a rischio la salute degli individui o l'integrità
dei beni paesaggistici e/o culturali.
In questo ambito di valutazione
si devono escludere le aree che presentano un significativo rischio geologico,
compreso quello della sismicità naturale e della tutela delle acque.
2.1 Attività mineraria e
sismicità
Come visto, l'attività di
coltivazione e quella di stoccaggio di idrocarburi deve avvenire in modo da non
mettere in pericolo la vita e la salute degli individui nonché l'integrità dei
beni paesaggistici e culturali. Non si
devono quindi consentire dette attività ove vi sia una situazione di rischio.
Le aree devono essere idonee in primis sotto il profilo geologico e
della sismica in modo da non provocare alcun inammissibile movimento del
terreno sulla superficie e da evitare effetti sull’ambiente.
Giova qui riprendere le
considerazioni formulate nelle conclusioni della relazione elaborata dalla
Commissione internazionale ICHESE[18], nominata
dopo il sisma del 2012 dalla Regione Emilia Romagna.
Si tratta infatti del primo caso
in Italia nel quale si è parlato scientificamente di correlazione tra attività
di sfruttamento minerario e sismicità[19].
La commissione ha preso le mosse
dalla “vasta letteratura scientifica, sviluppata soprattutto negli
ultimi venti anni, che dimostra come in alcuni casi azioni tecnologiche
intraprese dall'uomo, comportanti iniezione o estrazione di fluidi dal
sottosuolo, possano avere una influenza sui campi di sforzi tettonici
principalmente attraverso variazione nella pressione di poro nelle rocce e
migrazione di fluidi. Pertanto sull'attività sismica che si verifica in
prossimità spaziale con i siti e temporale con le operazioni, sorge il sospetto
che le operazioni antropiche possano avere avuto una influenza”[20].
Distingue quindi i terremoti in:
- terremoti tettonici,
che si verificano naturalmente all'esito di una situazione già matura;
- terremoti antropogenici,
nei quali l'attività umana ha avuto un ruolo nella causazione, portando il
sistema ad una rottura.
Questi si distinguono
ulteriormente in :
a)
terremoti indotti, nei quali le attività antropiche generano un
terremoto in una situazione non
necessariamente sottoposta a campo di sforzo; ricadono in questa categoria quelli prodotti da attività di
stimolazione termica o idraulica di una roccia
(Fracking); normalmente
la magnitudo non è elevata;
b)
terremoti innescati, per i quali “una piccola perturbazione generata dall'attività umana è sufficiente a
spostare il sistema da uno stato quasi-critico ad uno stato instabile. L'evento sismico sarebbe comunque avvenuto
prima o poi, ma probabilmente in
tempi successivi e non precisabili. In altre parole, il terremoto è stato anticipato. In questo caso lo
sforzo perturbante “aggiunto” è spesso molto piccolo
in confronto allo sforzo tettonico preesistente. La condizione necessaria perché questo meccanismo si attivi è la
presenza di una faglia carica per uno sforzo
tettonico, vicina ad un sito dove avvengono azioni antropiche che alterano lo stato di sforzo, dove vicina può voler
dire decine di chilometri di distanza a seconda
della durata e della natura dell'azione perturbante. In alcuni casi queste alterazioni possono provocare l'alterazione
della faglia già carica. È importante ricordare
che, poiché in questo caso le operazioni tecnologiche attivano solamente il processo di rilascio dello sforzo
tettonico, la magnitudo dei terremoti innescati può essere grande, dello stesso ordine di quella dei
terremoti tettonici, e dipenderà dall'entità
della deformazione elastica accumulata dalla faglia a causa del carico tettonico”[21].
La commissione precisa che non è
sempre possibile usare il termine provata con riferimento a questa
correlazione quanto, piuttosto, la parola associata e che “la
discriminazione tra la sismicità indotta o innescata e quella naturale è un
problema difficile, e attualmente non sono disponibili soluzioni affidabili da
poter essere utilizzate in pratica”.
A fronte di queste cautele,
tuttavia, dopo aver analizzato puntualmente i dati disponibili relativi alle
attività di sfruttamento sia minerario che geotermico, la commissione conclude
affermando che “...L'attuale stato delle conoscenze e l'interpretazione di
tutte le informazioni raccolte ed elaborate non permettono di escludere, ma
neanche di provare, la possibilità che le azioni inerenti lo sfruttamento di
idrocarburi nella concessione Mirandola possano aver contribuito a innescare
l'attività sismica del 2012”!
Si possono immaginare le
conseguenze di questa affermazione.
Senza soffermarsi sulle ulteriori
vicende legate al caso Rivara[22], si
sottolinea come le azioni umane possano avere un'influenza significativa nella
causazione dei terremoti e fra queste
sicuramente le attività di sfruttamento del sottosuolo.
Il territorio italiano è per la
maggior parte ad alto rischio sismico: i danni derivanti da un terremoto
colpiscono le vite umane, i beni culturali e l'economia di un territorio.
Questa affermazione dev'essere
tenuta in primaria considerazione nel momento in cui lo Stato opera una
valutazione economica dell'attività in concessione, sia essa un giacimento o
uno stoccaggio: i costi economici di un terremoto sono nell'ordine di miliardi
di euro. Quello alle persone irreparabile. Altrettanto quello ai beni culturali.
Ciò porta ad affermare che la
pianificazione è essenziale anche e soprattutto per scongiurare il
pericolo di simili catastrofi evitando attività di sfruttamento e stoccaggio in
aree sismicamente attive.
Giova ricordare che la Comunità
Europea motivò l'introduzione obbligatoria della proceduta di VIA nei paesi
membri[23] sostenendo
che “...la miglior politica ecologica consiste nell'evitare fin dall'inizio
inquinamenti ed altre perturbazioni, anziché combatterne successivamente gli
effetti … e che in tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione si
deve tenere subito conto delle eventuali ripercussioni sull'ambiente,...”.
La possibilità del verificarsi di
futuri terremoti si pone in termini di probabilità: l'INGV ha stilato una mappa
del rischio sismico dell'intera nazione fornendo una stima del grado di
pericolosità e probabilità degli eventi, distinguendo in quattro zone a
pericolosità sismica decrescente (zona 1 terremoti molto forti – zona 4 meno
forti). Orbene, più del 60% dei comuni italiani ricade nelle prime tre zone[24].
L'esclusione delle aree
protette e sensibili dal piano vale, evidentemente, anche per i permessi di
prospezione e ricerca: non è infatti possibile concedere nemmeno per la
ricerca autorizzazioni in zone nelle quali sia già evidente l'incompatibilità
con la potenziale futura coltivazione di idrocarburi o con lo stoccaggio.
E non si può certo pensare di
rimettere tale valutazione di idoneità (anche in ordine alla sismica) alla successiva fase di Valutazione
di Impatto Ambientale (VIA) delle attività di ricerca o del progetto.
In tal senso, l'esperienza del
c.d. Progetto Rivara[25]
costituisce un caso emblematico nel quale, di fatto, alla commissione di
VIA fu affidato l'incarico di valutare anche l'idoneità geologica del sito ad
essere destinato a stoccaggio di gas naturale, con conseguente esito negativo e
dispendio di attività e costi da parte della pubblica amministrazione e che si
sarebbero evitati se fin dall'inizio si fosse guardato all'idoneità geologica
del sito, che non era mai stata accertata e che quindi, ex lege, ne
impediva a priori la destinazione a stoccaggio, per non dire delle violazioni
in materia di imparzialità e principio di concorrenza che si possono rilevare
nella vicenda procedimentale.
Ma ancor prima che su un criterio
logico o di buon andamento[26]
dell'azione amministrativa (compresa l'economicità del procedimento, e non si
vede nulla di più antieconomico di un procedimento inutile fin dal suo
nascere!) le valutazioni devono essere guidate dal principio di legalità.
2.2 La tutela delle acque:
l'inquinamento da idrocarburi[27]
Uno dei pericoli più gravi
derivanti delle attività petrolifere è quello dell'inquinamento delle acque,
sia superficiali che sotterranee. L'estrazione degli idrocarburi, tanto in ambito
di coltivazione che di stoccaggio, comporta una disidratazione degli
stessi per eliminare la presenza dell'acqua di strato. Queste acque di scarto
petrolifero vengono normalmente re-iniettate in profondità sia per ragioni di
smaltimento che per favorire l'estrazione degli idrocarburi, quando non per
evitare fenomeni di abbassamento del livello di pressione d'esercizio
dell'impianto nonché di subsidenza. Tale re-iniezione può essere causa di
infiltrazione di questi fluidi altamente inquinanti nelle acque superficiali di
falda con conseguente loro contaminazione e quindi danno irreversibile per
l'ambiente, la flora, la fauna e ogni attività agricola.
Altrettanto dicasi per i casi di
sversamento in superficie, così come per la dispersione nell'ambiente dei
fanghi e degli scarti di lavorazione: i controlli sono spesso insufficienti e
inadeguati per carenza di personale tecnico e di polizia. Le sanzioni sono
spesso ridicole, soprattutto quelle penali, e gestite come un normale costo
d'esercizio.
Ulteriore ambito di protezione è
quello relativo alle zone di rigenerazione delle acque, per le quali devono
essere previste aree di tutela nelle quali interdire in modo assoluto attività
petrolifere e/o di stoccaggio[28].
2.3 La tutela
dell'agricoltura, dei parchi naturali e delle zone protette
A fronte delle considerazioni
sopra espresse, risulta del tutto evidente l'incompatibilità tra lo
sfruttamento del suolo e del sottosuolo per attività petrolifere e di
stoccaggio, e l'attività agricola soprattutto di pregio. Caso emblematico è
quello della Basilicata, e della Val d'Agri in particolare, dove si è
registrata una brusca inversione di tendenza circa la presenza di aziende
dedite all'agricoltura biologica, significativamente alta, a fronte di una
situazione di inquinamento derivante da attività estrattive con contaminazione
della flora e della fauna tali da precludere l'ottenimento di certificazioni di
qualità[29].
Oltre a questo settore, appare
minacciato anche il turismo, compreso quello riferibile ai parchi naturali e
alle altre zone protette.
Potrebbe sembrare un'ovvietà,
ma purtroppo è necessario esigere con determinazione che sia vietata la
realizzazione di opere di sfruttamento del sottosuolo che possano anche solo
mettere in pericolo l'integrità di aree tutelate e sottratte ex lege da
qualsivoglia fonte di contaminazione.
2.4 Gli stoccaggi di gas
naturale
Una realtà poco conosciuta o
considerata ma strettamente connessa all'azione di liberalizzazione del mercato
dei combustibili fossili, è legata al tema degli stoccaggi di gas naturale.
L'attività di stoccaggio è
indispensabile per garantire l'efficienza di esercizio del sistema di
distribuzione (stoccaggio di modulazione) e per la sicurezza degli
approvvigionamenti (stoccaggio strategico).
Fino al 2000 essa era svolta in
regime di monopolio da ENI, e quindi dallo Stato Italiano, per soddisfare le
esigenze del mercato interno. Il gas era di proprietà dello Stato (ENI) e
veniva gestito all'interno di questo sistema.
Con il recepimento della
normativa europea e l'introduzione del mercato libero (c.d. Decreto Letta),
(ENI-)STOGIT (così rinominata per la gestione del settore di distribuzione,
separato da quello di produzione che rimane ENI), e gli altri operatori del settore
che si sono affacciati al mercato del gas in Italia, hanno determinato
importanti mutamenti organizzativi e di sistema nel settore al fine di
soddisfare una nuova realtà commerciale .
La scelta operata nel 2013
attraverso la SEN e gli artt. 37 e 38 del decreto Sblocca Italia[30],
ha sancito il passaggio definitivo al mercato libero con sensibile aumento
della domanda, riferibile in particolare alle attività industriali fortemente
energivore, con conseguente incremento della conversione di giacimenti esauriti
in stoccaggi, anche al fine di costituire un vero e proprio HUB (centro) del
gas naturale in Pianura Padana, ove Eni aveva in passato gestito giacimenti ora
esauriti e di cui quindi erano facilmente rinvenibili i dati necessari alla
conversione in stoccaggio. Con l'ovvio risultato, in carenza di un piano, di coprire ogni sito potenzialmente
disponibile ma, pure, di rischiare che operatori del settore privi di capacità
tecnica o economica si approcciassero sul mercato con finalità speculative, con
rischio di insufficienti interventi di tutela preventiva dai rischi di danno
ambientale e valutazione dello stesso alla stregua di un mero possibile costo
d'impresa.
Le previsioni normative in tema
di assicurazione per i danni derivanti dall'esercizio delle attività di
coltivazione e stoccaggio, tanto nella fase di ricerca che di sfruttamento,
sono infatti inadeguate e rapportate a parametri elaborati dello stesso
proponente: si vedano le disposizioni dell'art. 38 del D.L. 12 settembre 2014,
n. 133 (c.d. Sblocca Italia), Misure per la valorizzazione delle risorse
energetiche nazionali, che prevede al comma 6-ter che “Il rilascio di
nuove autorizzazioni per la ricerca e per
la coltivazione di idrocarburi
è vincolato a
una verifica sull'esistenza di
tutte le garanzie
economiche da parte
della società richiedente, per coprire i costi di un eventuale
incidente durante le attività, commisurati a quelli derivanti
dal più
grave incidente nei diversi scenari ipotizzati in fase di studio ed analisi dei rischi” e al comma 6
lett.a) che il titolo concessorio unico
rilasciato ai medesimi soggetti
“è subordinato alla presentazione di
idonee fideiussioni bancarie
o assicurative commisurate al
valore delle opere di recupero ambientale previste” rimesse quindi a
valutazioni contenute nel progetto presentato dallo stesso proponente.
Come detto, la scelta
programmatica in materia di politica energetica era ed è sfornita di un piano
e, cosa ancor più grave, di una complessiva valutazione sul piano ambientale
(VAS): a fronte delle sopra individuate criticità e pericoli (sismica,
inquinamento, ecc.) derivanti pure dalla gestione dell'attività di stoccaggio,
non si può che chiedere con forza che il settore venga disciplinato con
previsioni di piano che tengano conto non degli interessi e dell'utilità di lobbies
economiche o di singole realtà quanto, piuttosto, dell'interesse dell'intera
Nazione in conformità alle sopra richiamate norme costituzionali (artt. 9 e 32
in particolare).
Conclusioni
All'esito di questa analisi
emerge tutta la criticità della normativa vigente:
a) in tema di pericolo
d'inquinamento delle risorse idriche;
b) in tema di pericolo derivante
dalla sismicità indotta e da quella innescata;
c) in ordine alla sottostima del
pericolo derivante dalle attività di coltivazione e stoccaggio, anche in ordine
alle preventiva valutazione circa le capacità tecniche e scientifiche
dell'operatore nonché delle garanzie e assicurazioni contro incidenti di
gestione;
d) in tema delle aree protette
e) in tema di:
- strategia energetica nazionale
(SEN) che sia rispettosa dei principi stabiliti dagli artt. 9 e 32 della
Costituzione, dei trattati sottoscritti e delle direttive europee
- pianificazione
partecipata, sia nel momento di programmazione
che d'esecuzione, e a favore delle Regioni e degli enti locali così come dei
cittadini;
- Valutazione Ambientale
Strategica (VAS).
[1] Si veda: http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/component/content/article?id=2027041
[2] Dalla Conferenza di Rio (1992) e Protocollo
di Kyoto (1997), alla Convenzione di Parigi del 2015, ossia
la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, queste ultime sessioni della
Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici.
[3] Le Direttive attuative della strategia
“20-20-20” (ridurre i
gas ad effetto serra del 20% , ridurre i consumi energetici del 20%
aumentando l'efficienza energetica, soddisfare il 20% del fabbisogno energetico con le
energie rinnovabili; entro il 2020).
[4] Come stabilito dall'art. 117 comma terzo
della Costituzione.
[5] L'art. 1 della Convenzione (1998) recita: “Per
contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e
future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo
benessere, ciascuna Parte garantisce il diritto di accesso alle informazioni,
di partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso alla
giustizia in materia ambientale in conformità delle disposizioni della presente
convenzione”.
[6] Operatori del settore interessati solo alla
fase di prospezione e ricerca per ottenere un permesso da cedere poi ad altri
[7] Rispetto a quella naturale del giacimento,
sottoponendo il sito ad una condizione di stress che potrebbe causare la
migrazione del gas e la sua perdita nell'ambiente, in particolare nelle falde
acquifere.
[8] Si veda il recente contributo di M.V.
Civita e A. Colella: "L'impatto ambientale del petrolio in mare e in
terra” Roma 2015 pagg. 158-161, e i contributi ivi richiamati.
[9] Le c.d. aree vietate alla ricerca e
coltivazione di idrocarburi, vedi mappa allegata (fig.1) – fonte UNMIG: http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/cartografia/zone/zone_vietate.asp
[10] E' venuta meno infatti la previsione di un
tale piano con l'approvazione, a dicembre 2015, degli emendamenti della Legge
di Stabilità; la sua previsione costituiva tuttavia una sorta di strumento
di controllo all'interno del sistema di liberalizzazione introdotto con la
SEN e attuato con lo Sblocca Italia, e non uno strumento di razionale pianificazione
[11] L'ultimo Piano Energetico Nazionale risale
al 1988, in regime di monopolio ENI
[12] In ossequio all'art.9 della Costituzione
[13] Si veda il recente contributo di Carolina
Pellegrino “Costituzione, energia, idrocarburi. Dalla delegificazione
all'intesa quale strumento costituzionale”, 2015, (scaricabile su: www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/.../11/pellegrino.pdf)
[14] Quello delle società petrolifere.
[15] Da intendersi come progresso materiale e
spirituale oltre che economico, quale momento di crescita collettiva
dell'intera Nazione strettamente legato, quindi, proprio ai valori tutelati
dagli artt. 9 e 32 della stessa Costituzione.
[16] Attraverso la presentazione di osservazioni
ma anche con forme di consultazione referendaria
[17] Si veda a tal proposito anche la sentenza
della Corte Costituzionale del 1 dicembre 2015 – 21 gennaio 2016.
[18] La commissione internazionale tecnico-scientifica, fu nominata
dall'allora presidente Vasco Errani “Commissione per la valutazione delle
possibili relazioni tra attività di esplorazione per gli idrocarburi e aumento
di attività sismica nel territorio della regione Emilia Romagna colpita dal
sisma del mese di maggio 2012”. Il rapporto è integralmente consultabile su:
http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/geologia/notizie/notizie-2014/commissione-ichese-on-line-il-rapporto-integrale.
Per i lavori della commissione si può consultare il sito dell'UNMIG:
http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/info/avvisi/avviso51.asp La
Regione cautelativamente sospese, con delibera n. 547 del 04 aprile 2014, le
attività di ricerca ed estrattive nella zona colpita dal sisma salvo
autorizzarne la ripresa il 13 luglio seguente dopo aver acquisito il rapporto
della seconda commissione, nominata dopo la ICHESE, che escluse ogni
correlazione fra il sisma e l'attività estrattiva del giacimento
Cavone-Mirandola (per il quale la ICHESE aveva affermato di non poter
escludere, ma nemmeno provare, l'esistenza di una correlazione).
[19] Da sottolineare che in Italia non esiste una
legge che disciplini puntualmente la sismicità indotta dalle attività minerarie
[20] vv. pag. 188 del rapporto ICHESE
[21] vv. pag. 189 del rapporto ICHESE
[22] Il collegato ambientale alla legge di
stabilità 2016 ha introdotto all'art. 70, fra i principi che regolano la
delega al governo per la disciplina del settore della c.d.green economy, il divieto di realizzazione di stoccaggi in
acquifero profondo, precludendo con ciò la possibilità attuale e futura di
stoccaggio a Rivara.
[23] Si leggano le premesse della Direttiva
337/85/CEE stessa
[24] vv. M.V. Civita e A. Colella “L'impatto
ambientale del petrolio in mare e in terra” Roma 2015 pagg. 89-95
[25] Per la realizzazione di un progetto sperimentale
di maxi deposito di gas naturale in acquifero profondo, ovvero non in
giacimento ma in una unità geologica che mai aveva contenuto del gas naturale;
in tal senso, ISPRA ne ha fatto un caso di scuola
(http://www.isprambiente.gov.it/files/via-vas/corso-via-vas/corso-via/Rivara.pdf/view)
[26] L'art.97 co II della Costituzione sancisce i
principi di buon andamento e imparzialità che devono guidare
l'attività della p.a., ispirata da criteri di efficacia ed efficienza. L'art 1
comma I Legge 241/90 sul procedimento amministrativo, già dall'art.1
stabilisce che “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla
legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di
pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e
dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai
princìpi dell’ordinamento comunitario”.
[27] vv. M.V. Civita e A. Colella, op. cit., pagg.
114-136.
[28] La Regione Piemonte, con delibera in data 13
marzo 2007 del Consiglio Regionale, ha approvato il Piano di tutela delle acque
(PTA), strumento finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di qualità dei
corpi idrici e più in generale alla protezione dell'intero sistema idrico
superficiale e sotterraneo piemontese. Si
veda: http://www.regione.piemonte.it/ambiente/acqua/pianoTAcque.htm
[29] vv. M.V. Civita e A. Colella, op. cit. pag.
199-201
[30] Che al primo comma recita: “1. Al fine di aumentare la sicurezza
delle forniture di gas al sistema italiano ed europeo del gas naturale,
anche in considerazione delle situazioni di crisi internazionali esistenti, i
gasdotti d'importazione di gas dall'estero, i terminali di rigassificazione di
GNL, gli stoccaggi di gas naturale e le infrastrutture della rete nazionale di
trasporto di gas naturale, incluse le operazioni preparatorie necessarie alla
redazione dei progetti e le relative opere connesse rivestono carattere di
interesse strategico e costituiscono una priorità a carattere nazionale e sono
di utilità pubblica, nonché indifferibili e urgenti ai sensi del D.P.R.
08/06/2001 n.327”. La
modifica all'art. 38 del decreto Sblocca Italia da parte della Legge
di stabilità 2016 ha eliminato l'inciso che dichiarava di interesse
strategico (mantenendo quello di pubblica utilità) le attività di prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio: sembrerebbe quindi
che solo gli stoccaggi, in virtù dell'art.37, mantengano questo
carattere, a riprova della volontà del Governo di realizzare l'Hub europeo del
gas nella Pianura Padana.
Anna De Rossi
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